
Principi Generali delle Tecniche HVLA
Le tecniche HVLA (High Velocity Low Amplitude) sono applicazioni di terapia manuale mirate; definite anche come tecniche “thrust” o “adjustment”, vengono ampiamente utilizzate in ambito fisioterapico, osteopatico e chiropratico.
Il target delle HVLA è dato dalle articolazioni sinoviali del nostro apparato muscolo-scheletrico e sono ormai note al grande pubblico poiché la loro esecuzione si accompagna spesso a suoni sinistri assimilabili ad un “crack” o un “pop” (il famoso fenomeno della cavitazione articolare).
La maggior parte degli articoli scientifici presenti in letteratura è concorde nell’affermare che la cavitazione non è un criterio necessario per definire la buona riuscita della tecnica manipolativa, sebbene molti operatori del settore ne siano costantemente alla ricerca durante la pratica terapeutica.
Essa si deve fondamentalmente alla condensazione e successiva rottura di micro-bolle di azoto presenti nel liquido sinoviale a seguito del dinamismo prodotto dal thrust. Le particelle di azoto altro non sono che un prodotto di scarto dell’attività metabolica dei condrociti (1).
Al di là del suono prodotto, quali sono gli effetti utili ad oggi riconosciuti delle tecniche HVLA?
È stato ampiamente dimostrato che le HVLA sono in grado di migliorare la mobilità dell’articolazione manipolata attraverso la rottura di aderenze tissutali intra ed extracapsulari e il conseguente incremento del “range of motion”(2-3-4).
Quello che molti non sanno è che le HVLA, oltre ad agire sulla meccanica articolare, hanno una serie di effetti neurofisiologici di altissimo impatto che si manifestano in loco e a distanza dal distretto manipolato.
Tali tecniche, infatti, sono in grado di innalzare la soglia di attivazione del riflesso da stiramento di quei tessuti miofasciali che, se in spasmo, possono ridurre la capacità di moto di un distretto articolare. Ciò è possibile grazie all’alta velocità di esecuzione della tecnica manipolativa, in grado di “silenziare” temporaneamente importanti propriocettori, quali fusi neuro-muscolari e organi tendinei del Golgi (5-6-7).
Le HVLA sono in grado inoltre di produrre un effetto antidolorifico (attraverso la stimolazione meccanica delle radici dorsali viene favorito il rilascio di beta endorfine), un effetto bioattivante e “defaticante” sulla muscolatura periferica (attraverso rispettivamente un incremento della forza da questa erogata e una modificazione dell’attività elettromiografica del tessuto contrattile) e, non ultimo, un effetto inibitorio o stimolante sul sistema viscerale (grazie alla stretta interazione anatomica e funzionale tra sistema scheletrico e SNA) (8-9-10-11-12-13-14).
Non va infatti dimenticato che le strutture del sistema nervoso autonomo sono in stretta relazione con alcune regioni del rachide; basti pensare, ad esempio, al rapporto tra nervo vago e il complesso cranio-cervicale (C0-C1-C2) oppure al rapporto tra le catene vertebro-laterali del sistema ortosimpatico e le articolazioni costo-vertebrali o zigoapofisiarie del tratto toracico.
Lo studente che si approccia per la prima volta alle HVLA deve pertanto tener conto che dietro quel sinistro “crack” si cela una cascata di effetti meccanici e neurofisiologici ad altissimo impatto, in grado di incidere non solo sulla sfera muscolo-scheletrica, ma anche sul tessuto nervoso e sul sistema viscerale.

Quali sono le indicazioni migliori che ci permettono di approcciare un paziente con le tecniche HVLA?
Le elenchiamo di seguito:
• Riduzione ROM articolare
• Segni clinici di alterazione del tono muscolare
• Algia mio-articolare movimento-dipendente (in assenza di red flags)
È bene però ricordare che tali tecniche presentano non poche controindicazioni assolute (le cosiddette red flags); qui di seguito ne elenchiamo le principali:
• Evidenza di patologie neoplastiche
• Evidenza di stati infettivi articolari
• Presenza di patologie reumatiche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, osteo-artrosi severa)
• Presenza di sintomatologia dolorosa acuta nel distretto target
• Presenza di osteocondrosi giovanile
• Presenza di instabilità articolare
• Evento traumatico recente (frattura o distorsione)
• Presenza clinica di ostruzione/insufficienza artero-venosa in corrispondenza dell’articolazione target
• Presenza clinica di ernia discale espulsa con segni e sintomi neurologici associati
• Presenza di sindrome della cauda equina
• Presenza di spondilolistesi o spondilolisi
• Sindrome di Down (rachide cervicale)
• Storia recente di abuso di steroidi
• Inesperienza dell’operatore
Esistono dei principi generali che possono aiutare lo studente a svolgere correttamente una tecnica HVLA?
Assolutamente sì!
È fondamentale, attraverso specifici test biomeccanici, individuare un’area di “disfunzione” articolare; una volta identificata, occorre mobilizzarla ripetutamente al fine di poter apprezzare e saggiare il suo limite di movimento (la famosa barriera elastica).
Una volta ingaggiata la barriera elastica, l’operatore deve risultare abile nel produrre un’ulteriore mobilizzazione nella medesima direzione iniziale, cercando di generare un moto ad alta velocità e bassa ampiezza. L’alta velocità risulta fondamentale in quanto in grado di creare uno shock propriocettivo, mentre la bassa ampiezza è decisiva in quanto non evocativa del riflesso da stiramento (il quale potrebbe, se scatenato, “remare” contro l’operatore e produrre effetti avversi a quelli desiderati).
Maggiore è la capacità dell’operatore di produrre movimenti articolari ad alta velocità e a bassa ampiezza, maggiore risulterà la cascata di effetti descritti in questo articolo.
Consiglio personale
“Caro studente, non focalizzarti sulla cavitazione, ma cerca di concentrarti sulla pulizia del movimento e sui parametri di ampiezza e velocità; non abbatterti se le prime manipolazioni non vanno a buon fine; il tempo ti aiuterà a raffinare la tecnica!”
Scritto da:
Dott. Alessandro Lorusso
(Fisioterapista e Osteopata)
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Riferimenti:
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